a cura di Mattia Capelletti
Nelle loro pratiche sonore, lɜ artistɜ si relazionano con archivi di voci negate dalla modernità coloniale occidentale, tracciandone il percorso evidenziando le sue violenze e distorsioni; scavando tra le sue rovine ne riportano alla luce i rimossi, orchestrano la sua disfatta mentre compongono il paesaggio sonoro futuro.
L’archivio collettivo che definisce il campo di Archeophony dell’artista e musicista Raed Yassin (nato nel 1979 a Beirut, Libano) è basato sulle prime registrazioni etnomusicologiche occidentali effettuate nell’“Oriente”. Contaminate da un ascolto orientalista, prodotto e veicolo del discorso coloniale e della sua logica estrattiva, le registrazioni sono manipolate e riassemblate da Yassin in nuove configurazioni. Combinando la tecnologia di riproduzione per eccellenza, il giradischi, con la strumentazione elettronica (sintetizzatori, distorsori, drum machines), Yassin sembra suggerire che ogni traduzione inevitabilmente tradisce e trasforma il suo testo. La distorsione in atto è duplice: prendendo atto della ferita coloniale e dell’impossibilità della ricostruzione di un’identità autentica — più probabilmente mai esistita e imposta dall’esterno — , l’artista turba quella stessa verità che le registrazioni, pur fondando su di essa la loro raison d’être, non hanno mai potuto davvero catturare. Non è un caso infatti che Yassin descriva Archeophony come la colonna sonora di un film di fantascienza immaginario, quasi a suggerire un’ucronia che, ascoltando le tracce distorte del passato, ri-immagina il presente come uno degli infiniti futuri che gli è stato negato.
Una tensione simile (fra passato e futuro, realismo e fantasia, costruzione e decostruzione) percorre il lavoro di Paola Torres Núñez del Prado (nata nel 1979 a Lima, Perù). La sua pratica artistica e musicale si esprime nello sviluppo e interazione tra tecnologie digitali e artigianali, confondendo il binarismo che le divide e che associa le prime alla modernità occidentale e le seconde ad un generico Sud globale arretrato e superstizioso. Ne emerge una prassi collaborativa: da un lato, Torres Núñez del Prado assoggetta le Intelligenze Artificiali che sviluppa ai materiali artigianali sopravvissuti alla violenza coloniale, testimonianza di una cosmogonia indigena viva e tramandata oralmente attraverso le generazioni; dall’altro, l’artigianalità delle applicazioni digitali che costruisce è continuamente rimarcata, sia visivamente che acusticamente, mentre emerge il carattere modernista degli artefatti tradizionali. I quipu, ad esempio, antichissimi sistemi di calcolo basati sull’intreccio di nodi, di cui solo 600 esemplari sono sopravvissuti alla distruzione dei coloni spagnoli, potrebbero essere considerati alla stregua di quello che, secondo la pioniera dell’informatica Ada Lovelace, il telaio Jacquard ha rappresentato per il computer. L’artista (ri)converte i quipu in interfacce sonore che, attivate dal suo tocco, modulano il suono dei canti iscritti nei loro intrecci. Attraverso i controller aptici programmati e realizzati dall’artista, le voci disincarnate presenti e passate di donne delle etnie quechua e shipibo prendono forma, fantasmaticamente perseguitando i perpetratori di quella violenza coloniale che continua ad abbattersi sui loro corpi, voci e culture.
Questo concerto è un progetto di Cripta747, a cura di Mattia Capelletti, e parte della rassegna The Listeners. Realizzato con il contributo di Ministero della Cultura, Fondazione Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT e Goethe Institut.
a cura di Mattia Capelletti
Nelle loro pratiche sonore, lɜ artistɜ si relazionano con archivi di voci negate dalla modernità coloniale occidentale, tracciandone il percorso evidenziando le sue violenze e distorsioni; scavando tra le sue rovine ne riportano alla luce i rimossi, orchestrano la sua disfatta mentre compongono il paesaggio sonoro futuro.
L’archivio collettivo che definisce il campo di Archeophony dell’artista e musicista Raed Yassin (nato nel 1979 a Beirut, Libano) è basato sulle prime registrazioni etnomusicologiche occidentali effettuate nell’“Oriente”. Contaminate da un ascolto orientalista, prodotto e veicolo del discorso coloniale e della sua logica estrattiva, le registrazioni sono manipolate e riassemblate da Yassin in nuove configurazioni. Combinando la tecnologia di riproduzione per eccellenza, il giradischi, con la strumentazione elettronica (sintetizzatori, distorsori, drum machines), Yassin sembra suggerire che ogni traduzione inevitabilmente tradisce e trasforma il suo testo. La distorsione in atto è duplice: prendendo atto della ferita coloniale e dell’impossibilità della ricostruzione di un’identità autentica — più probabilmente mai esistita e imposta dall’esterno — , l’artista turba quella stessa verità che le registrazioni, pur fondando su di essa la loro raison d’être, non hanno mai potuto davvero catturare. Non è un caso infatti che Yassin descriva Archeophony come la colonna sonora di un film di fantascienza immaginario, quasi a suggerire un’ucronia che, ascoltando le tracce distorte del passato, ri-immagina il presente come uno degli infiniti futuri che gli è stato negato.
Una tensione simile (fra passato e futuro, realismo e fantasia, costruzione e decostruzione) percorre il lavoro di Paola Torres Núñez del Prado (nata nel 1979 a Lima, Perù). La sua pratica artistica e musicale si esprime nello sviluppo e interazione tra tecnologie digitali e artigianali, confondendo il binarismo che le divide e che associa le prime alla modernità occidentale e le seconde ad un generico Sud globale arretrato e superstizioso. Ne emerge una prassi collaborativa: da un lato, Torres Núñez del Prado assoggetta le Intelligenze Artificiali che sviluppa ai materiali artigianali sopravvissuti alla violenza coloniale, testimonianza di una cosmogonia indigena viva e tramandata oralmente attraverso le generazioni; dall’altro, l’artigianalità delle applicazioni digitali che costruisce è continuamente rimarcata, sia visivamente che acusticamente, mentre emerge il carattere modernista degli artefatti tradizionali. I quipu, ad esempio, antichissimi sistemi di calcolo basati sull’intreccio di nodi, di cui solo 600 esemplari sono sopravvissuti alla distruzione dei coloni spagnoli, potrebbero essere considerati alla stregua di quello che, secondo la pioniera dell’informatica Ada Lovelace, il telaio Jacquard ha rappresentato per il computer. L’artista (ri)converte i quipu in interfacce sonore che, attivate dal suo tocco, modulano il suono dei canti iscritti nei loro intrecci. Attraverso i controller aptici programmati e realizzati dall’artista, le voci disincarnate presenti e passate di donne delle etnie quechua e shipibo prendono forma, fantasmaticamente perseguitando i perpetratori di quella violenza coloniale che continua ad abbattersi sui loro corpi, voci e culture.
Questo concerto è un progetto di Cripta747, a cura di Mattia Capelletti, e parte della rassegna The Listeners. Realizzato con il contributo di Ministero della Cultura, Fondazione Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT e Goethe Institut.